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regia
Ava DuVernay
cast
David Oyelowo, Tom Wilkinson, Cuba Gooding Jr., Alessandro Nivola, Carmen Ejogo, Lorraine Toussaint, Tim Roth, Oprah Winfrey, Tessa Thompson, Giovanni Ribisi, Omar J. Dorsey, Andre Holland, Lakeith Lee Stanfield, Corey Reynolds, Stephan James, Colman Domingo, E. Roger Mitchell, Brandon Carroll, Elizabeth Diane Wells, Wendell Pierce, Jeremy Strong, Dylan Baker
durata
127
nazione
Gran Bretagna
uscita
12 febbraio 2015
genere
Biografico
distribuzione
Notorius
produzione
Film d'essai:
Si
giudizio CNVF
altre info su
Ambientato negli Stati Uniti, durante la presidenza Johnson, il film racconta la marcia di protesta che ebbe luogo nel 1965 a Selma, Alabama. Guidata da un agguerrito Martin Luther King, questa contestazione pacifica aveva lo scopo di ribellarsi agli abusi subiti dai cittadini afroamericani negli Stati Uniti e proprio per la sua natura rivoluzionaria venne repressa nel sangue.
Nella primavera del 1965 un gruppo di manifestanti, guidati dal reverendo Martin Luther King, scelsero la cittadina di Selma in Alabama, nel profondo sud degli Stati Uniti, per manifestare pacificamente contro gli impedimenti opposti ai cittadini afroamericani nell’esercitare il proprio diritto di voto.
L’afroamericana 42enne Ava DuVernay, miglior regista al Sundance Film Festival del 2012 per Middle of Nowhere, sceglie a sua volta quell’episodio storico come cartina di tornasole della battaglia per i diritti civili in America e offre un ritratto complesso e sfaccettato di una delle personalità più influenti e meno cinematograficamente documentate del passato americano. DuVernay realizza una serie di piccoli miracoli: primo fra tutti togliere MLK dall’agiografia per restituirci la sua umanità, comprensiva di dubbi, sconfitte e cedimenti, senza per questo (o anzi, proprio per questo) sminuire la sua statura etica e politica e la sua importanza nell’evoluzione di una coscienza civile collettiva. L’interpretazione di David Oyelowo (già protagonista di Middle of Nowhere), incomprensibilmente privata di una candidatura all’Oscar, è da brividi, soprattutto in lingua originale, durante la riproposizione dei discorsi pubblici del Dottor King che iniziano in tono sommesso e si gonfiano di travolgente potenza retorica, culminando nei toni trascinanti della predica che ricordano al pubblico la formazione religiosa del pastore protestante e la convinzione che ha sostenuto la sua capacità di resistere pacificamente a umiliazioni e violenze, spingendolo verso un traguardo alto e collettivo – una lezione quanto mai adatta ai nostri tempi su come un credo dovrebbe essere strumento di elevazione spirituale e di rifiuto della barbarie, non di aggressione e oppressione.
La storia raccontata da Selma restituisce alla politica il suo significato superiore. Le scelte di King sono dettate dal bene comune, il suo infallibile istinto gli fa compiere gesti anche impopolari ma di lungimiranza storica inconfutabile, e illustra la necessità (e fondamentale nobiltà) della negoziazione politica indirizzata verso un fine ultimo elevato. La capacità di King di non accontentarsi del successo temporaneo per tenere lo sguardo fisso sulla meta finale è un saggio narrativo (anche questo adatto ai nostri tempi) su ciò che differenzia un leader da un politicante. Parallela la sua determinazione a non sacrificare vite ed entusiasmi, da lui stesso suscitati, all’altare dell’opportunità politica, e la sua volontà, spesso impopolare fra i “fratelli neri”, di cercare un consenso universalmente condiviso a sostegno dei diritti civili, componente imprescindibile della sua gestione illuminata. Tutto questo lavoro pedagogico sarebbe importante ma non cinematograficamente memorabile se DuVarnay non l’avesse veicolato attraverso una forma filmica che combina resoconto documentario (con commoventi spezzoni finali, anche della storica marcia su Washington del ’63) e racconto intimo dei travagli personali dei personaggi, facendoci sentire fisicamente la loro paura nel farsi parte della storia e rendendo contemporanea, hic et nunc, una vicenda a noi cronologicamente lontana, le cui ricadute sono però assai visibili nel presente di tutti. La regista mette a nudo il cuore segreto dell’America, si infiltra dietro porte chiuse per riportare conversazioni segrete e dare contezza di confessioni sussurrate. Anche la scelta di mostrare il diverso peso che la protesta per i diritti civili ha rappresentato nella vita delle diverse generazioni, e del maschile e femminile, declina la storia (magistralmente articolata dallo sceneggiatore, Paul Webb), e la Storia, secondo coordinate anagrafiche e di genere, e delinea la capacità del movimento per i diritti civili di essere seminale per il futuro, ma anche determinante per il presente di chi era già adulto, o magari anziano, ai tempi di MLK.
La cifra artistica della DuVernay risiede nella sua capacità muscolare di attaccare frontalmente un mito, e una vicenda spartiacque, senza alcun timore reverenziale e con un profondo rispetto della complessità degli eventi e delle persone, senza lasciarsi spaventare dall’ampiezza dell’arazzo ma senza nemmeno perdere di vista la precisione del dettaglio, e nel conferire alla storia, all’interno di un impianto narrativo classico, una dimensione onirica e allucinata a metà fra l’orrore e la fiaba in alcuni passaggi-chiave, come l’omicidio delle quattro ragazzine nell’esplosione della chiesa di Birmingham o la confessione “metafisica” dei tradimenti fatta alla moglie dal reverendo. E nella sequenza finale la regista si concede lo sfizio di attingere al western, con il risultato di potenziare ulteriormente la statura mitologica dell’evento clou di Selma, codificato attraverso un genere che fa parte della costruzione dell’èpos cinematografico yankee. La tecnica registica della DuVernay è, in un aggettivo, seduttiva, nel senso che attira gli spettatori dentro il racconto impedendo ogni distanza emotiva, e li affabula attraverso la potenza di immagini sensuali anche quando racconta episodi “di cronaca”, per restituire a personaggi resi bidimensionali dai libri di Storia, come il presidente Lyndon Johnson, una terza dimensione fatta di umanità fragile e fallibile. Selma è genuinamente emozionante, non manipola né le coscienze né i sentimenti, ma li risveglia dallo stesso torpore di cui sono imbevute alcune scene del film, che ci ricordano come anche i grandi della Storia siano stati uomini spaventati dalla responsabilità delle loro decisioni.
Selma ripassa l’abc di ciò che serve, a livello umano e politico, per scardinare un sistema, e quanto questo può costare, a livello individuale, ma anche quanto ne valga la pena, a livello collettivo e di “decisione del proprio destino come esseri umani”.
Commento tratto da www.mymovies.it - Scheda pubblicata il 7 febbraio 2015 .