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regia
Woody Allen
cast
Jim Belushi, Juno Temple, Justin Timberlake, Kate Winslet, Max Casella, Jack Gore, David Krumholtz, Tony Sirico, Steve Schirripa, Debi Mazar, Geneva Carr, Robert
durata
101
nazione
USA
uscita
14 dicembre 2017
genere
Drammatico
distribuzione
Lucky Red
produzione
Film d'essai:
Si
giudizio CNVF
altre info su
Firmato dall’eclettico Woody Allen, La Ruota delle Meraviglie (Wonder Wheel) ha come sfondo la pittoresca Coney Island, con la spiaggia, la passerella e le scintillanti attrazioni lungo il litorale. 1950, le vite di quattro personaggi si intrecciano ai piedi della celebre ruota panoramica costruita negli anni venti: quella dell’imbronciata e malinconica Ginny (Kate Winslet), ex attrice emotivamente instabile, ora cameriera presso un modesto ristorante di pesce; di suo marito Humpty (Jim Belushi), rozzo manovratore di giostre; del giovane Mickey (Justin Timberlake), un bagnino di bell’aspetto che coltiva aspirazioni da commediografo; e della ribelle Carolina (Juno Temple), la figlia che Humpty non ha visto per molto tempo e che ora è costretta a nascondersi nell’appartamento del padre per sfuggire a un gruppo di spietati gangster che le dà la caccia. La pittoresca boardwalk fa da sfondo a un racconto fatto di fragili speranze e nuovi sogni, passione e tradimenti, corteggiamenti nervosi e impacciati in puro stile Allen, in un clima di inganno e tensione che stride con le luci delle giostre, l’ilarità e la spensieratezza dei bagnanti. A complicare la situazione l’intromissione sgradita (solo ai personaggi del film) di Max Casella, Steve Schirripa e Tony Sirico.Con La Ruota delle Meraviglie, Woody Allen torna negli Stati Uniti per la terza volta di fila dopo Irrational Man e Café Society, a soli tre anni dalla fine di una sorta di tour spaziotemporale che l’ha portato ripetutamente in Europa. Dalla Barcellona di qualche anno fa (Vicky Cristina Barcelona, 2008) alla Londra contemporanea (Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, 2010), dalla Parigi animata dai Roaring Twenties (Midnight in Paris, 2011) alla Roma dei nostri giorni (To Rome with Love, 2012), per finire sulla Costa Azzurra dei primi anni ’30 (Magic in the Moonlight, 2014). Un girovagare che solo un esperto ritrattista dell’animo umano come Allen avrebbe potuto arricchire di personaggi tanto tormentati e scombussolati quanto affascinanti.
Coney Island, anni Cinquanta: giostre, luci, zucchero filato, ma soprattutto la magica ruota delle meraviglie. È il volto dell’America postbellica, dell’America che cerca con tutte le sue forze di tornare allo splendore di inizio secolo e che, come una donna invecchiata troppo presto, s’imbelletta fino a coprire i segni del tempo. È il volto di Ginny (Kate Winslet), che non accetta di non essere diventata attrice, che non accetta di vivere in un tugurio con quell’ubriacone del secondo marito Humpty (Jim Belushi), che non accetta di avere quarant’anni e di lavorare ancora come cameriera, e che fantastica di essere salvata dal principe azzurro per avere finalmente tutto ciò che ha sempre sognato. Ma il suo principe azzurro, il romantico Mickey (Justin Timberlake), poeta decadente fuori tempo massimo alla ricerca del grande amore, infrangerà tutti i sogni di Ginny innamorandosi perdutamente dell’esotismo di Carolina (Juno Temple), la biondissima figlia di Humpty in fuga dalle grinfie dell’ex-marito gangster. Disposta a tutto pur di non rinunciare alla sua via in libertà, pur di disfarsi della giovane avversaria, Ginny, preda degli assalti dell’emicrania e della più nera disperazione, arriverà alla fine a compiere un gesto tanto disumano quanto insensato, che non le varrà nulla se non un rimorso costante da annegare nell’alcool. Un gesto mostruoso? Forse sì, anzi sicuramente, ma condannare Ginny è impossibile: non è orrore quello che suscita nello spettatore, bensì un’infinita tristezza, la tristezza del gesto di chi, mentre affoga, per cercare di mettersi in salvo tira a fondo anche il proprio vicino.
È proprio questa disperazione che vuole raccontarci Woody Allen, tornando ancora una volta a parlaci della sua città, New York, per svelarcene deformità e bassezze, per illuminare quella putrefazione insistente che, nascosta sotto un tappeto di luci e maschere, sempre più preme e sempre più deforma, svelando la natura grottesca della fantomatica “età dell’oro”. Una storia qualunque, una storia banale, ma magistralmente raccontata da un regista capace di lavorare sulla teatralità di ogni gesto, di ogni espressione, di ogni dialogo, di ogni dettaglio amplificando, dilatando, esasperando. Un regista capace di tirar fuori dal suo cappello da prestigiatore una Kate Winslet e un Jim Belushi inediti, sovraccarichi, caricaturali, stucchevoli quanto una torta a dieci strati, ma perfetti per ritrarre quell’America così eccessiva, così posticcia, così artificiosa e così piena di stereotipie. Il tocco da maestro lo dà però Vittorio Storaro, con una fotografia mozzafiato che vale da sola il prezzo del biglietto per le sue luci e i suoi colori così nitidi e così crepuscolari, affresco di un’epoca da rivista patinata.
Note di demerito? Forse la retorica alleniana, incapace di rinunciare ad alcuni clichés quasi fossero un monogramma: il personaggio narratore che, in apertura del film, si rivolge allo spettatore, il bambino teppista che dà fuoco allo studio della psicologa, e così via. Ma forse in fondo, sarà un po’ l’età, sarà che ogni artista cita sempre se stesso, è giusto essere clementi e perdonare questi piccoli vezzi che in fondo, diciamocelo, rassicurano gli spettatori fedeli e affezionati.
Commento tratto da www.cinequanon.it - Scheda pubblicata il 9 gennaio 2018 .